Come personalizzare il proprio Vermouth: la scelta della bottiglia

Intraprendere la creazione di un proprio Vermouth è un’avventura che inizia da un’idea, da una storia da raccontare, che poi si concretizza nel sapore del prodotto. Dopo aver messo a punto la ricetta, arriva il momento della scelta del packaging, in particolare della bottiglia, biglietto da visita del proprio Vermouth. Colorata, trasparente, leggera e affusolata oppure squadrata e massiccia: ogni elemento comunica qualcosa al consumatore, come abbiamo visto nell’articolo precedente sul Neuromarketing. Le possibilità di personalizzazione sono quasi infinite, e dietro una bottiglia si nasconde un vero e proprio universo di tipologie e caratteristiche. Come è fatta una bottiglia? Nella parte alta una bottiglia si compone di un anello, fondamentale nel caso degli spumanti perché è il punto dove si va ad ancorare la gabbietta del tappo a fungo. Nelle altre tipologie di bottiglie l’anello ha una funzione estetica ma anche di ergonomia, per facilitare la presa e l’apertura.   Abbiamo poi il collo e la spalla, che può essere più o meno pronunciata a seconda delle diverse tipologie e usi. In particolare, in passato la tendenza era quella di avere bottiglie dalle spalle particolarmente evidenti: la loro funzione era infatti quella di trattenere eventuali sedimenti al momento della mescita del vino o del liquore. Oggi questo elemento conserva una funzione estetica, anche se per alcuni prodotti risulta ancora particolarmente utile. Abbiamo poi il corpo, ovvero la parte centrale della bottiglia, e infine la base, anche in questo caso con la funzione di trattenere nella cavità eventuali sedimenti. Le principali tipologie di bottiglie Storicamente alcune tipologie di bottiglie sono diventate tipiche e tradizionali di una determinata regione, per poi divenire caratteristiche per determinate tipologie di vino. La bordolese La bottiglia iconica per eccellenza, tipica delle zone di Bordeaux e dei suoi vini rossi. Dal colore scuro per proteggere dalla luce i vini rossi, ha un corpo dritto con spalla molto netta ed evidente. Alle origini questo era un dettaglio necessario per trattenere i sedimenti dei vini invecchiati, oggi è un elemento estetico ma anche di grande praticità: la forma della bottiglia permette infatti di impilarle facilmente e di movimentarle con altrettanta praticità. La borgognona Altro grande classico del panorama francese, è la bottiglia tipica della Borgogna. Ha una base più larga di quella bordolese e risulta più affusolata nella demarcazione della spalla. È ideale per la conservazione dei vini bianchi, ma è anche usata per quelli rossi. L’alsaziana Anche detta Renana, è originaria dell’Alsazia. La forma slanciata e quasi priva di spalla denota il suo uso per vini con scarsi sedimenti, come appunto i bianchi o il Pinot Nero prodotti nella zona da cui ha origine. È una bottiglia estremamente elegante, anche se è l’incubo delle linee di imbottigliamento perché molto “ballerina” a causa della sua base stretta e del corpo affusolato. La champagnotta Bottiglia massiccia e pesante, ideata per resistere alle pressioni degli spumanti, che possono raggiungere anche 9 bar. Ha un fondo spesso con una rientranza, anche in questo caso in origine per favorire il deposito dei lieviti. Molto spesso è anche l’anello per favorire un ancoraggio duraturo della gabbietta. L’albeisa Una bottiglia tutta italiana anzi, tutta piemontese, tipica delle Langhe e di Alba, da qui appunto il nome. Ideale per contenere i vini rossi, nella forma è simile alla borgognona con spalle più evidenti. Perché 0,75 l è la misura standard? La ragione per cui la bottiglia standard per il vino è da 0,75 l e non da un litro, misura a noi molto più pratica, è una ragione puramente commerciale, dettata dai più grandi importatori di vino nella storia: gli inglesi. L’Inghilterra ha importato fin dal Medioevo ettolitri su ettolitri di vino dalla Francia, acerrimo rivale politico, come testimoniano le guerre secolari tra i due paesi, ma indiscusso fornitore di prodotti enologici. Gli inglesi utilizzavano come unità di misura il gallone imperiale, che corrisponde a circa 4,5 litri. Per la vendita delle botti da 225 litri la conversione era facile: infatti una barrique corrisponde a 50 galloni imperiali. Diversamente la misura di un contenitore più piccolo andava scelta con cura, ecco che 1 gallone può essere venduto in 6 bottiglie da 0,75 l, accorpate in pratiche casse da 6 o da 12, corrispondenti a 1 o 2 galloni. Allo stesso modo una barrique corrispondeva esattamente a 300 bottiglie.   Inoltre, in questo modo una bottiglia conteneva perfettamente 6 bicchieri da 0,125 l, misura abituale dei bicchieri trovati nelle osterie, facilitando notevolmente i conti dell’oste. Un’altra teoria meno accreditata, ma comunque plausibile, è legata alle prime tecniche di soffiatura del vetro: la capacità polmonare dei soffiatori non era in grado di produrre contenitori di vetro di misure superiori. Per avere bottiglie più grandi e prodotte in serie bisognerà attendere fino all’invenzione degli stampi. Personalizzare il proprio Vermouth Oggi il mercato propone una varietà sconfinata di forme, colori e lavorazioni delle bottiglie, che permettono di spaziare da bottiglie tradizionali fino a vere e proprie opere di arte contemporanea.   Personalizzare il proprio Vermouth anche nella scelta della bottiglia è uno step fondamentale nel creare una solida identità di un prodotto, nonché un momento di grande soddisfazione nel vedere finalmente “vestito” il vostro Vermouth. Rendi unici i tuoi regali: Realizza le tue bottiglie personalizzate! Clicca qui

Il neuromarketing: comunicare il vino con il supporto delle neuroscienze

Neuromarketing: cos’è? Il neuromarketing è un termine coniato recentemente per indicare un nuovo approccio alla comunicazione e allo studio del mercato. Alle tradizionali tecniche di marketing, si aggiungono infatti metodologie derivate dalle neuroscienze e dalla psicologia cognitiva e sociale, per analizzare a 360° i processi decisionali e le motivazioni inconsce che muovono le scelte del consumatore. Una vera e propria rivoluzione che permette di osservare cosa succeda nel nostro cervello di fronte ad un prodotto o ad una scelta tra diversi. Immaginate di sottoporre un nuovo packaging, per esempio di una bottiglia di vino, ad un gruppo di persone per conoscere la loro opinione. Il marketing tradizionale userebbe un questionario oppure imposterebbe una discussione fra i partecipanti, cercando di cogliere i diversi pareri. Il neuromarketing può invece sottoporre ciascun consumatore ad una risonanza magnetica, analizzando quali aree del cervello stimoli quella determinata combinazione di colori, materiali e forme, ampliando notevolmente l’orizzonte della creazione di contenuti pubblicitari e promozionali. Come decide un consumatore quale vino acquistare? Grazie alle nuove tecniche di neuromarketing è possibile svelare i processi inconsci e spesso irrazionali che guidano un consumatore.Numerosi studi concordano che esistano due vie interconnesse fra loro che caratterizzano il funzionamento del cervello in risposta ad uno stimolo: una “via bassa” e una “via alta”.    La “via bassa” o “talamica” sembra coinvolgere strutture profonde del cervello, elaborando le informazioni in maniera rapida e poco accurata. È il sistema di decisione più impulsivo, correlato a scelte che richiedono tempi celeri, spesso legate alla sfera emotiva e alla sopravvivenza. Diversamente, se gli stimoli recepiti non ricadono in questi ambiti, sono inviate e processate nella “via alta” detta anche “corticale”, area del cervello dedicata invece alla valutazione lenta e consapevole.    Appare evidente come sia indispensabile stimolare per prima la “via bassa” per creare un interesse meno specifico ma più emotivo e viscerale, e solo in un secondo momento, coinvolgere il consumatore in una valutazione più accurata, solo se ne ha le competenze. Davanti ad uno scaffale pieno di bottiglie di vino un consumatore inesperto sarà infatti guidato più dalle emozioni che dalla ragione, viceversa un sommelier sarà meno impulsivo e più riflessivo nell’acquisto, ma pur sempre attirato e stimolato da messaggi e immagini che parlano alla sua parte emotiva. Proprio in questa dinamica si inseriscono le tecniche “priming”. Il “priming” nel vino e l’importanza del packaging Il priming è una tecnica che consiste nell’influenzare il comportamento di un consumatore facendo leva sulla sua sfera emotiva. In parole più semplici equivale a disseminare di indizi una immagine o una pubblicità, per portare ad una certa sequenza di associazioni e quindi di comportamenti. Per esempio, un’etichetta di colore verde, con immagini che richiamano alla natura come per esempio una coccinella, portano il nostro inconscio a pensare a concetti come il rispetto per l’ambiente e la genuinità di quel vino. Avete mai fatto caso alle etichette dei vini biologici o certificati sostenibili? Ai colori e alle immagini utilizzate? E la loro disposizione nel piccolo spazio dell’etichetta? Anche qui è possibile applicare il neuromarketing, utilizzando la tecnica dell’eye tracking, ovvero analizzando i movimenti degli occhi sulle immagini e le scritte. Lo sguardo si posa per maggiore tempo sulle aree ritenute più interessanti dal nostro cervello, creando una mappa delle “zone calde” di una immagine. Queste heat map risultano utilissime non sono solo nella creazione delle etichette, ma anche in quella delle homepage di siti aziendali e nella creazione di campagne pubblicitarie. Lo scopo è sempre lo stesso: catalizzare lo sguardo di un consumatore bombardato da mille informazione persuasive. Un noto produttore di Prosecco, la cantina Nino Franco, ha un logo che bene riesce in questo intento. Le due iniziali “N” e “F” si contrappongono al disegno di un grappolo e di un calice stilizzato con un chiaro riferimento, nello stile essenziale e nel tratto che ricorda una pennellata, ai simboli della scrittura orientale. Immaginate l’efficacia che può avere questa immagine nell’attirare l’attenzione di un consumatore cinese o giapponese, nonostante la sua apparente semplicità.   Dietro la comunicazione di un vino però non c’è nulla di semplice o scontato, soprattutto nel mondo di oggi dove la competizione è alta e su tantissimi canali di comunicazione differenti. Le tecniche di neuromarketing sono uno strumento efficace e pionieristico nella creazione di contenuti, destinato a diventare parte integrante delle strategie comunicative del futuro del mondo enologico, e non solo.   La prossima volta che vi trovate a scegliere una bottiglia di vino o di vermouth, fate caso alle etichette 😉

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